Vipassana, piccola storia

achan chan vipassana
achan chan vipassana

Vipassana‘ può essere tradotto come “insight” (intuizione) o “conoscenza superiore”.
In questa forma insight è una parte centrale – e anche il culmine o apice – dell’insegnamento originale del Buddha.
Buddha parla soprattutto di comprensione delle tre caratteristiche universali (dette anche 3 segni o 3 caratteristiche dell’esistenza)
1) “anicca” = impermanenza, mutevolezza, instabilità;
2) “dukkha” = stato insoddisfacente delle cose, imperfezione, la responsabilità per la sofferenza;
3) “anatta” = Non-sé, l’assenza di nucleo duraturo e fisso in un essere (di solito assunto come ‘anima’).
Insight (o vipassana) può essere inteso come “vedere chiaramente come le cose realmente sono” – molto più chiaramente e profondamente della normale esperienza umana.
A tal fine, nelle Scritture vi è anche una grande importanza data allo sviluppo o  concentrazione o raccoglimento della mente, che dà alla mente maggiore potere di penetrazione di chiara visione o visione profonda (= non-distratta, messa a fuoco).
Il “Maha Satipatthana Sutta” è probabilmente il testo antico con più istruzioni dettagliate per la pratica di insght = vipassana.
In realtà, vipassana intesa come pratica formale meditativa è sempre connessa con una concentrazione abbastanza profonda.
Tale pratica di concentrazione si chiama ‘samatha’. E’ vero che l’espressione  vipassana non ricorre molto spesso nei Sutta, e se lo fa, di solito in collegamento  “samatha-vipassana“.

La meditazione vipassana che oggi conosciamo nasce (o meglio rinasce) in Birmania.  La pratica originale è stata in qualche modo persa o dimenticata e solo nella prima metà del Novecento ci fu una sorta di rinascita della pratica della vipassana. Questa pratica della prima ripresa o rinascita è stata considerata come un qualcosa di riservato ai soli monaci, mentre ai laici spettava la pratica devozionale e sostenere quindi i monasteri. Ma la pratica monastica era prevalentemente samatha, di concentrazione.

E’ molto importante fare chiarezza: la pratica di vipassana formale non è necessaria o indispensabile per la corretta pratica verso l’illuminazione. Si tratta di uno strumento potente, ma molti hanno evidentemente raggiunto l’illuminazione anche senza questa tecnica di meditazione.

La forma di vipassana conosciuta in occidente oggi si basa su due vecchie linee monastiche sorte inBirmania.
Una è quella di Jetavan Sayadaw – Mahasi Sayadaw, il lignaggio che usa nella vipassana la tecnica del labeling = ‘etichettare’ l’esperienza;
La seconda è il lignaggio di Webu Sayadaw – Ledi Sayadaw – U Ba Khin – SN Goenka e utilizza la sensazione corporea come oggetto di meditazione.
Queste tecniche, in qualche modo artificiali, sono fondate nelle Scritture originali del Canone Pali, ma ancora di più si fondano sull’Abhidhamma (che è considerato il cuore della psicologia buddhista) e sul suo commento scritto 800 anni dopo chiamato ‘Visuddhi Magga‘ scritto dal dotto buddhista Buddhaghosa.

E’ bene sapere che questi due nuovi lignaggi birmani sono stati appositamente ideati e sviluppati principalmente per i laici, che hanno solo il tempo limitato per il ritiro e poche ora alla settimana nella vita quotidiana – forse per questi motivi sono divenuti così popolari in occidente.

Un nuovo slancio alla vipassana è stata dato dalla tradizione dei Monaci della Foresta di Achan Chah, di tradizione theravada thailandese, che ha diffuso nuovamente la pratica di vipassana e samatha congiunte.


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