Vipassana/Karma Experiment

vipassana e karma
vipassana karma experiment. Un esperimento

In questo post vorremmo proporvi un esperimento, ossia un’accurata disposizione di risorse (conosce e istruzioni, strumenti e materiali) per produrre una esperienza prevedibile. Qualcuno tra i nostri lettori potrebbe obiettare che non c’è nulla di più arbitrario ed erratico dell’esperienza personale. Su questo potremmo discutere, tuttavia vi invito a considerare questo post come un laboratorio, e a considerare la nostra esperienza come molto più generale e prevedibile di quanto vorremmo credere.

Proveremo a proporvi una “esperienza galileiana” – e per farlo ci concentreremo su un tema tra i più scivolosi, abusati, mistici e fumosi, diventati (ahinoi) parte del nostro lessico globale.
Sapete tutti cosa significa karma?

Per chi ha aborrito la fumisteria di certi argomenti New Age, ma oggi vuole cimentarsi con noi in questa “esperienza galileiana”, ricorderò brevemente cosa significa la parola karma. È un termine sanscrito, lingua “sacra” dell’India affine a greco e latino, che vuol dire “azione” o “atto”. In breve è patrimonio comune delle molte filosofie e pratiche “orientali” affermare che ad ogni azione corrisponde una conseguenza. Fin qui tutto sembra piuttosto banale e suona come il celebre terzo principio della meccanica newtoniana: “Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria agente sulla stessa retta di applicazione”. La differenza qui riguarda la morale: quando si parla di karma ci si riferisce al premio o alla punizione per le azioni umane. Secondo le filosofie orientali questa legge impersonale e universale spiega tutto il bene e il male del mondo , ed esige logicamente (saltando alcuni passaggi di cui è facile convincersi) che esistano molte vite nelle quali ricevere i suddetti premi e le suddette punizioni.

Lungi da me proporvi l’ennesima pagina di catechesi orientale! Proprio per questo vorrei proporvi di mettere totalmente da parte tutto l’universo di coincidenze e sincronicità, vite dopo la morte,  memorie dal passato, reincarnazioni egiziane et similia. Voglio proporvi di andare al succo: karma vuol dire “azione” o meglio “azione intenzionale”. Così, ad esempio, scelgo un gusto di gelato –> azione intenzionale -> karma. Progetto l’eliminazione del mio odiato rivale a Risiko? Karma. Passeggio e senza volere spiaccico una formica? Niente karma. Esatto: non volevo ucciderla. Stessa cosa se qualcuno si getta sotto le ruote di una metropolitana: niente karma per l’autista (ma un brutto shock di sicuro), perché non era certamente sua intenzione uccidere.
Ecco, rimaniamo solo su questa definizione operativa e limitata, perché limita alcune delle difficoltà di decidere che cosa è giusto e cosa è sbagliato: in una cultura un’azione per noi meritoria potrebbe essere classificata come cattiva, e viceversa. Gli esempi abbondano e sono in gran parte la sostanza di cui sono fatti i problemi dell’ integrazione culturale.

Veniamo al nostro esperimento.
Ci proponiamo di farvi fare un’esperienza diretta (e laica) del karma.
Perché si possa parlare di scienza occorre che la procedura sia standardizzata e riproducibile. Quindi abbiamo deciso di registrare per voi un breve file audio con le istruzioni: non vi ipnotizzeremo per farci dare il vostro numero di carta di credito! Troppo ovvio … Quello succede solo se l’ascoltate al contrario come un disco dei Black Sabbath. Scherzi a parte, se state scomodi, vi annoiate, non ve la sentite o non volete farlo, o se volete interrompere l’esperimento, non vi accadrà nulla. Certo la scienza dovrà rinunciare al vostro contributo: ma se la caverà.

Pronti?

Clicca play

 per ascoltare le istruzioni dell’esperimento.

Come accennavamo, una delle caratteristiche più importanti di un esperimento “scientifico” è la sua replicabilità, ossia che possiamo rifarlo e ottenere (o non ottenere, confutandolo) gli stessi risultati. In questo senso la scienza è pubblica e non può che essere tale, perché dietro l’attività di ricerca c’è sempre una comunità che condivide, critica, verifica, contesta e discute i risultati. E può farlo perché le condizioni di un esperimento devono essere standard, ossia dichiarate e chiarite in modo da lasciare poco o nulla alle fluttuazioni del contesto che cambia. Altrimenti è come sommare le mele e le pere: ci prendiamo un votaccio come alle elementari.

L’esperienza che vi abbiamo proposto vorrebbe essere proprio così: pubblica, replicabile e standardizzata. E mettendola in pratica possiamo scoprire cosa significa karma.

Siete stati qualche minuto in silenzio a contemplare soltanto il ritmo del vostro respiro. Quello che vi ho proposto è un esercizio di meditazione di consapevolezza o vipassana. Siamo ragionevolmente sicuri che non siete stati in grado di fare attenzione con continuità al vostro respiro: sensazioni, pensieri, ricordi, emozioni erano continuamente lì a distrarvi. Ottimo! Ecco, questo è karma.

Abbiamo saltato qualche passaggio, quindi ci spiegheremo meglio: avete osservato come di continuo la nostra attenzione cambi il suo oggetto, come quello che noi chiamiamo “intenzione” punti ora ad un ricordo, ora ad un programma, ora ad una fantasia, poi ad un’emozione, per passare inconsapevolmente ad un nuovo pensiero. Siamo abbastanza coscienti dell’oggetto della nostra attenzione, ma molto poco consapevoli dei cambiamenti di quest’ultima: esattamente che cosa vi ha portato da quel ricordo così vivido al pensiero della cena, alla preoccupazione per quella questione di lavoro, a quella fantasia sessuale e poi a quel risentimento mai sopito per quel tale che … ?  Una strana “forza” di cui siamo poco consapevoli e che è il frutto della nostra storia. E che avete fatto “fatica” a tenere a bada mentre cercavate di fare attenzione soltanto al vostro respiro: quasi fosse la “cieca forza del destino”. Ora provate a immaginare questa stessa forza moltiplicata di decine di volte, come accade ogni giorno, magari durante un alterco. Non vi sembra una pressione a cui è difficile sottrarsi?
Tutto questo lavorio ininterrotto della mente ha un orizzonte abbastanza chiaro – quello che chiamiamo il “sé”. Colgo un frammento di ricordo, per raccontarmi di nuovo il “mio” passato; programmo il “mio” futuro, fosse anche per l’ovetto al tegamino che mi farò stasera, perché ho il frigorifero vuoto, negli ultimi giorni non avevo proprio voglia, quella situazione al lavoro è così stressante per me, che torno a casa sempre stanco e non riesco più a farmi la spesa … Sensazioni, emozioni, pensieri, ricordi, immagini, continuamente tessute e ritessute per raccontare a me stesso … di me. E non potrei raccontarmi questa continua storia infinita senza scegliere cosa voglio e cosa non voglio, cosa mi piace e cosa no, chi voglio diventare e chi non voglio più essere. Scelgo di continuo, afferro di continuo, agisco di continuo – se non con le mani, o con la voce, con la mente. E quello che ho scelto prima, condiziona quello che sceglierò e potrò fare, aprendo e chiudendo, definendomi sempre di più ma mai completamente.

Quello che qui definisco “karma” usando un termine filosofico orientale è stato definito dal filosofo francese Paul Ricœur “medesimezza”: la mia storia di soggetto, che pesa su ogni mia ulteriore scelta e che ogni mia scelta contribuisce a creare.

Abbiamo condotto un’esperienza filosofica, sui cui temi si discute animatamente: oltre questo auto-racconto, esiste un soggetto? Esiste davvero qualcosa come una “intenzione”? Chi pensa i pensieri che mi sembra di pensare, se proprio io ho un così scarso controllo su di essi? Fino a dove posso essere consapevole? Esiste davvero la libertà?

Ora, non vi aspettate risposte da noi. Quelle che crediamo di avere sono provvisorie come tutte le ipotesi empiriche. Però alcune considerazioni crediamo si possano fare. Quello che chiamiamo “io” sembra più una costruzione che un “costruttore”, più un effetto che una causa, più un verbo che un nome. E che se non riusciamo davvero a mantenere per qualche minuto la nostra mente su un unico oggetto, figuratevi cosa davvero possiamo fare nella nostra vita!
Per questo tutti noi abbiamo un disperato bisogno di compassione, perché, proprio come me, anche il mio vicino è costantemente travolto da questo vortice in cui le possibilità di scelta possono essere davvero poche.
Speriamo di ricordarcelo, la prossima volta che ci arrabbieremo con qualcuno o con noi stessi.

 


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